OGD: ORGANISMO GENETICAMENTE DIVERSO - 12^ PARTE - PABLO

Nel 1980 don Miguel Meleto, professore universitario, chiese ad un bambino di sei anni: “Sai che cos'è la Sindrome di Down?”
Quel bambino si chiamava e si chiama Pablo Pineda. Era Down ma non sapeva di esserlo e non sapeva nemmeno quindi cosa volesse dire essere Down.
Don Miguel sapeva che Pablo era pronto per conoscere la sua diversità. Sapeva che, di lì a poco, molti adulti e bambini avrebbero cominciato a compatirlo, ignorarlo o deriderlo. Non so cos'è peggio.
Pablo si era accorto di essere diverso, che aveva gli occhi più distanti e che le mani non erano uguali ma non sapeva nulla di questa sindrome.
Don Miguel spiegò a Pablo cos'è la Sindrome di Down e il piccolo, dimostrando grande lucidità, rispose: “Don Miguel, sono stupido?” Ovviamente don Miguel gli disse di no ma Pablo, preoccupato prosegui ad interrogarlo: “Potrò continuare a studiare?” Anche in questo caso la risposta fu convincente e positiva.
E così ha fatto. Ha continuato a studiare. Sicuramente ha studiato più di me.
A otto anni lo coinvolsero in un programma televisivo dove, con un visionario senso della vita, disse che “bisognava far frequentare la scuola ai Down con gli altri bambini e lasciarli giocare insieme durante la ricreazione”.
Molti diranno che non è “malato” come tutti gli altri Down se a così pochi anni già aveva una tale lungimiranza. Invece lui è un Down puro e deve tutto alla sua forza di volontà e al coraggio dei suoi genitori. Dei suoi genitori racconterà a El Pais: “Più che consultare i medici, erano loro che dicevano ai medici che cosa bisognava fare. Essi dicevano: "Questo bimbo non potrà imparare che le cose più semplici"; E i miei genitori non gli davano retta: tu occupati delle tonsille, che io mi occupo della sua educazione. Mai credettero che non potessi imparare, mai credettero al mio medico. I miei genitori pensarono sempre che dovevo essere autonomo e mi educarono per quello. Don Miguel è stato uno stimolo. Quando ero bambino, mi faceva delle piccole cattiverie. Dirmi per esempio che sarebbe venuto a prendermi e poi non venire. Lasciandomi solo, per vedere che facevo. Pensa che tipo. E io, oltre a maledire tutta la sua parentela ed essere morto di fame, dovevo arrangiarmi. Prendevo un autobus.. Che avventura. Tutti, i miei genitori, mio fratello, mio zio, facevano i turni per spiarmi dietro un giornale, come dei detective. Pure quando cadevano quattro gocce e domandavo a mio padre di accompagnarmi a scuola, mi diceva: "Mettiti l’impermeabile e vattene in autobus"; i miei genitori sono stati forti, non hanno mai ceduto, non gli ho mai trovato un punto debole. Dovevo fare acquisti, maneggiare denaro. Fu un grande cambiamento, cominciai a prepararmi la cena: l’uovo fritto, l’insalata, la bistecca, cose facili, ma normalmente un Down non le fa; se ha dei genitori protettivi non le fa. Perché c’è il fuoco, l’acqua che bolle, eccetera.”
A ventuno anni si è messo a studiare quello che i libri dicevano sulla Sindrome di Down. Quei libri su cui probabilmente aveva studiato anche il suo medico, che in buona fede lo trattava come uno da cui non poteva mai nascere niente, un peso. Pablo non si riconosce in questi libri. “Quando incominciai a leggerlo mi dissi: io non sono così. Altri affetti da sindrome di Down che avevo conosciuto, nemmeno loro erano come li descrivevano i libri. La letteratura ci descrive peggio di come siamo e ci esclude. Dicono che siamo deficienti, che siamo ritardati. E che non c’è nessuna soluzione, che è la cosa peggiore.”
Oggi Pablo ha quarant'anni. È laureato in magistero e in psicopedagogia e dal 2013 è un presentatore televisivo. Il primo programma presentato da un Down. Venticinque anni fa, in una conferenza, ad una signora ignorante, come spesso, troppo spesso, siamo noi, che chiese se si sarebbe mai sottoposto ad un intervento di chirurgia estetica per migliorare il suo volto lui risponderà: ”No, ci sono molto affezionato. Non le piace come sono?”
Daniele Levis
...continua...

      

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