A NICCOLÒ CIATTI: I BAMBINI NON SONO QUADERNI DA SCRIVERE MA LIBRI DA LEGGERE


In questi giorni ho pensato molto a quanto successo a Niccolò. Un evento che ha scosso profondamente la nostra comunità. Mi son chiesto, come tanti, il perché si arrivi a questo. Cos'è che ci fa arrivare a prendere a calci in faccia una persona? Cos'è che ci rende disumani? Dentro di me vivo un contrasto di emozioni.

Ieri sera ero nella mia parrocchia, insolitamente piena, come se ci fosse la Messa di Natale celebrata dal Papa. C'erano tante persone tutte diverse fra loro: giovani e adulti, bambini e anziani, credenti e atei... Mentre eravamo lì a pregare il Santo Rosario ho pensato che questo è il vero popolo di Gesù. Un popolo variopinto, un popolo che si fa domande, un popolo che si unisce intorno al dolore straziante di una famiglia, un popolo in lotta fra il perdono e il rancore, un popolo che non sa neanche perché era lì riunito. Però quel popolo c'era ed era lì, unito come non mai. Quel ripetere l'Ave Maria era come ripetere cinquanta volte: "Niccolò, famiglia di Niccolò, vi vogliamo bene".
Dall'altra parte avevo il sentimento del giorno precedente, di Ferragosto. Ero in campeggio, l'omicidio di Niccolò era notizia recente, fresca. Sono capitate due cose a distanza di poche ore: due adulti che sono arrivati a prendersi a pugni perché uno dei due, che aveva ricevuto un gavettone dalla figlia adolescente dell'altro, ha offeso la ragazza; successivamente un signore che, ricevuto un gavettone sulla spiaggia mentre aveva il cellulare in mano, ha usato il palo di un ombrellone per colpire il ragazzo che lo aveva bagnato. Basta poco per far uscire il peggio da noi stessi. Basta poco per diventare noi i carnefici di Niccolò.
E poi c'è il circo mediatico della cronaca nera. Le telecamere che entrano nelle case e nelle chiese. L'assalto del giornalista alla famiglia della vittima. La ricerca di uno scoop che non esiste. Un giornalismo che non ha il minimo rispetto, che pubblica ovunque quel video orribile che non ho visto e non guarderò mai. Quel giornalismo che è complice dell'abbassamento morale che stiamo vivendo.
Sempre a Ferragosto, quando è scoppiata la rissa fra i due signori di prima, un ragazzo, ipoteticamente sui 18 anni, per farsi vedere simpatico dagli amici, ha detto: "Che c'è? Nicco Ciatti contro i russi?". Questo dimostra che ormai non ci fa più effetto nulla. Tutto quello che non è mio e tutto quello che non sono io non mi fa né caldo né freddo. Basta fare una passeggiata per capire che abbiamo completamente perso il rispetto per la cosa pubblica.
Cosa può invertire questa tendenza che ci vede sprofondare nella rabbia e nell'indifferenza? Non saprei, non ho ricette. Non mi piace generalizzare ma credo che la generazione precedente alla nostra abbia fallito sotto l'aspetto educativo. Credo che si debba cambiare radicalmente il modo con cui educhiamo e tiriamo su i bambini. Io non sono nessuno per dare lezioni perché non mi ritengo un buon esempio di padre ma penso che il segreto stia nel provare a fare qualcosa di diverso, nel ricercare uno stile educativo che veda lontano, al futuro, a 25 anni da oggi. Il proibizionismo e il protezionismo hanno creato generazioni di uomini repressi, ai quali basta una scintilla per esplodere.
Forse potremo proprio ripartire da ieri sera, da quel popolo di Gesù. Lo so... molti non credono che sia Dio, ma tutti non possiamo far altro che essere ammirati da quello che ha detto e fatto. Ripartiamo dal suo esempio e dal suo insegnamento. Penso che il Vangelo si possa riassumere in due parole: amore e libertà. Cresciamo nell'amore e nella libertà. La libertà di sbagliare e la libertà di chiedere perdono, come ha fatto quel padre di quella ragazza offesa al campeggio dopo che aveva riconosciuto il suo errore. Creiamo una nuova generazione libera. È difficilissimo essere genitori di un figlio libero ma ripeto che non dobbiamo pensare l'educazione come un modo per arrivare in fondo alla giornata, dobbiamo pensarla nell'ottica di far crescere un figlio libero. Lasciamo che il carattere di ogni bambino esca fuori. I bambini non sono quaderni da scrivere ma libri da leggere.
È difficile lo so, io per primo non so se riuscirò a farlo, sicuramente inciamperò tante e tante volte ma non vedo altre soluzioni per uscire da questo vortice di rabbia e di indifferenza.
Che la morte di Niccolò non sia vana e non sia un’ulteriore scintilla di guerra, ma sia piuttosto un segno di pace.

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